Seguici sui social

Omelia della III domenica di Pasqua

È la parola dell’apostolo Pietro che fa riecheggiare in questa terza domenica di Pasqua l’annuncio della resurrezione, una parola forte, chiara, pronunciata con grande generosità e forza a Gerusalemme il giorno di Pentecoste – è il brano della prima lettura – quando in mezzo a tutta la popolazione che è arrivata da tante parti a Gerusalemme annuncia con franchezza che Gesù è risorto dai morti; una parola che si collega alle profezie dell’Antico Testamento, alla profezia fatta a Davide, e che nella seconda lettura – nella Prima Lettera di San Pietro – collega la resurrezione a questo atto di amore di Dio che non ha voluto più un culto dove si offrivano a lui delle cose, ma dove ha comprato la nostra salvezza a prezzo del sangue del suo Figlio.

Un annuncio forte, che è la gioia della chiesa: Cristo è veramente risorto! Nella esperienza di Pietro e degli Apostoli la cosa più bella che loro condividono e di cui sono testimoni è proprio la presenza del Signore risorto in mezzo a loro, gli incontri, le volte che si rende vicino a loro e presente: dalla mattina di Pasqua, alla sera nel Cenacolo, a Emmaus come abbiamo ascoltato nel vangelo.

Ma ciò che rende strutturalmente presente Gesù nella sua chiesa e fino alla fine dei tempi è proprio il mistero della domenica cristiana. Domenica passata lo abbiamo sentito raccontare nel vangelo: “otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo insieme…”, c’era anche Tommaso che non aveva creduto, che non era presente la sera di Pasqua, e ogni otto giorni i discepoli, i cristiani, si ritrovano insieme e ogni otto giorni Gesù si rende presente. È un altro motivo per capir quanto è importante la nostra assemblea domenicale che speriamo presto di poter riprendere nella sua modalità consueta con la partecipazione in chiesa.

In questo vangelo ci sono i due elementi fondamentali della celebrazione domenicale: l’ascolto della Parola e l’Eucarestia. Bella questa immagine di Gesù che si fa compagno di strada, non un maestro, non uno che schiaccia gli altri con la sua conoscenza, ma uno che si fa carico della perplessità, dello scoraggiamento, si mette accanto come viandante sconosciuto “... ma di cosa state parlando?” e allora – diceva bene stamani Papa Francesco - come sarebbe bello sapere cosa gli ha detto Gesù, che catechesi ha fatto a questi due discepoli scoraggiati; cominciando da Mosè, attraverso i profeti, ha fatto veder loro come tutto quello che è accaduto a Gesù era stato predetto nella profezia e nell’Antico Testamento. Ecco, Gesù si fa compagno di strada della nostra fatica, del nostro scoraggiamento e noi ogni domenica quando veniamo alla messa e ascoltiamo la Parola di Dio sentiamo il nostro cuore che si riscalda come quello dei due discepoli e sentiamo che quello che stiamo cercando, che quello che ci dà fatica trova una risposta in questa Parola, ciascuno la sua risposta.

Gesù si fa compagno di strada. Noi veniamo in chiesa la domenica perché abbiamo sete e fame di questa Parola, non perché siamo i migliori degli altri, non perché abbiamo tutto chiaro. Dio ci liberi da quei cristiani che hanno tutto chiaro, che vanno con princìpi rigidi, che dividono il mondo in buoni e cattivi, che sanno cosa devono fare, che hanno un giudizio per tutto. Noi siamo molto sconsolati, a volte la vita ci rende stanchi, ma Gesù si affianca accanto a noi con la sua Parola.

E poi il gesto della Eucarestia. Quando arriva la sera che bella questa preghiera: Signore resta con noi, sta per arrivare la notte, non ci lasciare soli. L’Eucarestia è la risposta alla nostra solitudine, è quel pane spezzato che genera amore, è quel pane spezzato che ci dice che ogni volta che noi spezziamo il pane della nostra vita per gli altri la nostra vita si illumina e la nostra solitudine svanisce. La solitudine fa paura quando siamo nell’egoismo, fa paura quando siamo attaccati alle cose, quando non c’è nemmeno uno spiraglio d’amore per gli altri. Ma se noi, come facciamo nel mistero dell’altare, fossimo capaci anche nella nostra vita di spezzare il pane per gli altri non saremmo masi soli.

E allora i discepoli corrono, devono condividere con gli altri ciò che hanno vissuto. Ecco perché la Pasqua è tempo della missione, tempo dell’annuncio: non andiamo a portare le dottrine, non andiamo a portare ideologie, non ci interessa la cultura cattolica. Ci interessa annunciare il Vangelo e dire che Gesù si affianca alla fatica di ogni uomo, riscalda il suo cuore, apre una speranza e nel gesto dello spezzare il pane apre la strada di una vita bella. perché la vita spesa per amore è una vita bella, una vita piena di gioia.

Il Signore domenica prossima nel vangelo del Buon Pastore ci farà sentire con quanta tenerezza Lui ci ama e quanta tenerezza vuole che noi condividiamo con i nostri fratelli.