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Omelia della IV domenica di Pasqua

È ancora nella parola dell’apostolo Pietro che risuona in questa quarta domenica di Pasqua l’annuncio della resurrezione; e ancora, come domenica passata, con questa doppia riflessione: la prima, quella del primo annuncio solenne fatto nella domenica di Pentecoste a Gerusalemme, quando pieni di Spirito Santo gli Apostoli cominciano con franchezza, con forza ad annunciare la resurrezione di Gesù. E la seconda riflessione è quella della Prima Lettera di Pietro, una riflessione più profonda che collega quei fatti che hanno coinvolto Gesù al progetto della salvezza di Dio.

L’annuncio di Pentecoste, un annuncio che scuote il cuore della gente “cosa dobbiamo fare?”, si rendono conto di essere stati co-protagonisti di questo evento impensabile della storia, di un Dio ucciso sulla croce e soprattutto della sua resurrezione. “Cosa dobbiamo fare?” e la risposta degli Apostoli, la risposta della chiesa è “cambiate la vostra vita, fatevi battezzare, ricevete il dono dello Spirito, vivete in una luce nuova, con uno sguardo nuovo”.

E nella seconda lettura questo fatto così sconvolgente e inaspettato diventa un passaggio fondamentale nella storia della salvezza. Dio ha voluto recuperare una relazione con l’umanità e lo ha fatto mettendo il suo Figlio come dono di amore per noi. E lo ha fatto con questo stile: della mitezza, della non violenza, della non vendetta. Lo stile con il quale Gesù è vissuto ed è morto diventa lo stile che deve caratterizzare la presenza della chiesa, che continua nella storia questa vicinanza di Dio. Egli è un pastore che vi ha raccolti, eravate dispersi come pecore abbandonate e ora Lui è il custode della vostra vita.

Questa immagine del buon pastore che abbiamo sentito alla fine della seconda lettura è il cuore di questa quarta domenica di Pasqua, la domenica del Buon Pastore. Un esempio che Gesù prende - come tante altre volte ha fatto – dalla vita di tutti i giorni, dalla cultura, dalla vita sociale del suo tempo: questo pastore particolare, che conosce le sue pecore, che è così attento. In un altro brano del vangelo dirà addirittura che se su cento ne perde una, quella va a cercare, non si accontenta di avere le novantanove nel recinto.

Questo Dio che è così attento a ciascuno ed è vicino a ciascuno! Ecco l’esempio della presenza di Gesù Risorto nel mondo, nella chiesa: gli apostoli in queste domeniche del tempo di Pasqua ci aiutano attraverso la Parola di Dio a capire quale è lo stile, quale è la forma, dove possiamo trovarlo questo Gesù Risorto. Lo abbiamo sentito compagno di strada della sfiducia dei discepoli di Emmaus, oggi lo vediamo in questa immagine: Gesù è il pastore che ci coccola, che ci tiene accanto a sé, che sta attento a quello di cui abbiamo bisogno.

Ecco perché questa domenica è la domenica delle vocazioni, è la domenica del ministero pastorale della chiesa. Il Papa quante volte, fin dai primi del suo pontificato, ha invitato noi preti e vescovi ad avere “l’odore delle pecore”: pastori che stanno in mezzo alla gente, che non si rinchiudono nelle loro chiese, nei loro riti, nelle loro dottrine sicure, ma che si contaminano della vita di tutti i giorni per portare a ciascuno questa tenerezza di Dio.

Vogliamo davvero pregare per noi pastori, perché nessuno di noi consideri il popolo di Dio meno importante di qualche altra cosa, perché sentiamo la bellezza di questo dono che Dio ci ha fatto chiamandoci a essere sua presenza all’interno del popolo di Dio.

Ma questo invito ad essere pastori non è soltanto per i ministri ordinati, tutta la chiesa è chiamata ad essere buon pastore dell’umanità. E allora tutti noi siamo pastore e pecore, siamo rappresentanti di Gesù che ci guida ma tutti noi siamo anche questo amore di tenerezza infinita verso gli uomini.

Se la chiesa potesse essere sempre e davvero - come in tante parti lo è - questa presenza di vicinanza di Dio all’umanità, se la chiesa sentisse come un impegno comune di tutti i fedeli questo mettersi accanto, prendere in braccio la pecora ferita, cercare quella smarrita, non abbandonare nessuno, non condannare nessuno, non escludere nessuno, conoscere ciascuno per nome, ascoltare la parola del mondo di oggi, anche delle persone che pensiamo essere lontane dalla chiesa ma che non sono e non saranno mai lontane dal cuore di Dio.

Dobbiamo essere noi pastori verso le anime che Dio ci ha affidato nella comunità cristiana ed essere tutti come chiesa pastori di questa umanità che sembra tante volte avere smarrito la strada: in un tempo così grave di malattia e di sofferenza si continuano a produrre armi, si continua a fare ricchezza sulla morte della gente, si continua ad abbandonare milioni di persone in una vita di solitudine e di morte.

Noi chiesa dovremmo sentirci pastori di questa sofferenza dell’umanità e portare in questa sofferenza lo sguardo, l’amore, la forza che Dio ci dona.