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Omelia della Ottava di Pasqua

La fede nel Signore Gesù risorto fa nascere una umanità nuova. San Pietro lo scrive nella seconda lettura “siete stati rigenerati mediante la resurrezione di Gesù a una speranza viva, a una eredità che non si corrompe”: la fede in Gesù risorto, quella fede che nasce dall’annuncio, dalla testimonianza, dalla voce degli apostoli riempiti dalla grazia dello Spirito Santo che dice “Gesù noi l’abbiamo visto vivo dopo la sua resurrezione, noi siamo testimoni.

Una fede preziosa perché vissuta da chi non ha visto con i propri occhi Gesù; qui c’è il richiamo all’episodio del vangelo, di Tommaso che non credeva. “Beati quelli che non avendo visto crederanno”. Una fede resa preziosa anche dalle prove. Quando San Pietro scrive questa lettera i cristiani hanno già sperimentato e sperimentano la persecuzione, l’ostilità, alcuni vengono già uccisi in nome della fede.

La fede in Gesù risorto fa nascere l’umanità nuova, della quale la Chiesa è un segno visibile nella storia, un segno di cosa sarà il destino di tutta l’umanità.

E in questa seconda domenica di Pasqua nella prima lettura e nel vangelo ci vengono presentate le due caratteristiche fondamentali della comunità cristiana, due immagini sulle quali noi dovremo sempre verificare la nostra appartenenza alla chiesa.

La prima, la pagina degli Atti degli Apostoli: i cristiani, coloro che avevano creduto in Cristo erano una cosa sola, una famiglia sola, si volevano bene, non c’era nessuno che aveva bisogno fra di loro. È ciò che ha fatto notare i cristiani nei primi tempi; la gente si domandava “ma cosa hanno quelle persone per volersi così bene? Sono ricchi, poveri, anziani, giovani, vengono anche da paesi diversi, magari non si capiscono con la lingua, ma guarda come si vogliono bene”. E rimanevano affascinati. Il cristianesimo non si è diffuso nei primi tempi – e anche nella storia, direi – per i discorsi molto elaborati, intelligenti, per argomentazioni filosofiche, per avere convinto qualcuno. Il vangelo si diffonde per contaminazione, per passione, per amore. La gente nota e invidia la bellezza di quelle relazioni.

Ecco l’immagine della chiesa: quanto ci vogliamo bene? Quanto ci sentiamo uniti fra di noi? Quanto l’amore per Gesù rende grande l’amore che abbiamo gli uni per gli altri? “Nessuno aveva bisogno di niente perché tutti se ne accorgevano subito e intervenivano con generosità”.

La seconda dimensione fondamentale della vita cristiana l’abbiamo nel vangelo, dove si racconta la nascita della domenica cristiana. Gli apostoli erano riuniti la sera di Pasqua, Gesù appare in mezzo a loro, li saluta, li incontra. Tommaso non c’era. Ci racconta il vangelo di Giovanni che “otto giorni dopo” i discepoli erano di nuovo insieme in casa. E da quel giorno ogni otto giorni noi cristiani ci troviamo insieme e ogni otto giorni il Signore si rende presente, ci dona la sua pace, riscalda e infiamma il nostro cuore con la forza della sua parola, ci abbraccia e ci riempie con la forza della Eucarestia: la domenica cristiana.

Viviamo giustamente nella osservanza delle regole ma con grande amarezza queste nostre domeniche delle chiese vuote. La domenica è il giorno dei cristiani. Ed è vero, come ci dicono tanti e giustamente, che non basta venire in chiesa la domenica per essere buoni cristiani, ma è altrettanto vero che nessuno può dirsi un buon cristiano se non sente ogni domenica il desiderio di incontrare Gesù, di abbracciarlo, di riempirsi della sua forza.

E non si viene in chiesa perché siamo migliori degli altri, si viene in chiesa perché abbiamo bisogno che Gesù ci abbracci, ci guardi; abbiamo bisogno che ci dica “vieni qua, metti la tua mano, non aver paura, non ti preoccupare; la tua poca fede mettila nelle mie mani e io la renderò sufficiente perché tu possa camminare nella tua vita”.

Noi veniamo in chiesa ogni domenica, partecipiamo anche in questo modo per ora alla S. Messa non perché siamo migliori degli altri, ma perché abbiamo bisogno che Dio ci venga incontro, che Gesù ci guardi, che Gesù dica anche a noi, alle nostre fatiche, a tutte le nostre miserie “pace a voi”. Noi abbiamo bisogno che Gesù ci dica che non ci lascerà mai soli, che sarà sempre accanto a noi. Quando il cammino della vita sarà faticoso lui verrà come il viandante sconosciuto sulla via di Emmaus, quando la nostra fede vacillerà davanti magari alle prove e alle sofferenze della vita, Lui verrà a prenderci gentilmente e con tenerezza come a Tommaso ci dirà “vieni qua, toccami, guardami”; quando ci sembrerà che il cielo ci cada addosso e non ci sia più speranza per noi, Lui ci porterà alla tomba vuota e ci dirà che la morte, qualunque morte, è vinta per sempre.

Ecco, essere cristiani vuol dire credere che Gesù è vivo, che è risorto, che è in mezzo a noi. Essere cristiani vuol dire vivere una vita che rende presente già nella storia la bellezza del paradiso dove tutto sarà amore e pace. Essere cristiani vuol dire ogni domenica sentire il desiderio forte, irresistibile di incontrarsi con Lui e di vivere della sua Vita.