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LA SANTA FAMIGLIA DI NAZARETH

La solennità del Natale, come anche quella della Pasqua, sono così importanti e centrali nella nostra vita cristiana che la liturgia ci chiama a vivere tutta la settimana come se fosse un solo giorno. Lo sentiremo anche nella preghiera eucaristica “… in questo giorno nel quale la Vergine ha dato al mondo il Salvatore …”. È per darci la possibilità di contemplare, di approfondire sempre di più la grandezza di questo mistero. Anche le varie feste che in questa settimana la liturgia ci chiama a celebrare servono a questo scopo: penetrare il mistero. La sintesi più profonda e più completa è quella del vangelo di Giovanni che abbiamo ascoltato nella messa del giorno di Natale, parole intense, che sono rivelate da Dio all’evangelista Giovanni – titolare della nostra parrocchia, fra l’altro – proprio come un contributo a penetrare il mistero.

E la festa di oggi, quella della Santa famiglia, si collega proprio ad una delle frasi più belle di quel prologo del Vangelo, quando dice “il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”. Abitare, vuol dire stabilità, vuol dire condividere la vita; non è come uno di passaggio che arriva, fa qualcosa e poi torna via, come facevano gli Apostoli quando fondavano le prime comunità cristiane.

Abitare vuol dire che è venuto a condividere la nostra vita, ad essere uno di noi. E allora, quale modo migliore per esprimere la normalità di una vita che non condividere l’esperienza della famiglia: essere bambino, ragazzo, giovane nella dimensione della famiglia.

Questo ci fa capire il valore grande di quei trenta anni di quasi assoluto silenzio della vita di Gesù. I Vangeli, a parte qualcosa nei vangeli dell’infanzia, soprattutto grazie al vangelo di Luca e di Matteo, i Vangeli non dicono niente dei trenta anni che Gesù ha passato a Nazareth con il suo babbo e la sua mamma: la normalità della vita! È venuto ad abitare in mezzo a noi.

Noi allora dobbiamo fare in modo che le nostre famiglie, che la nostra vita, possano diventare come la famiglia di Nazareth, come disse la prima volta in un indimenticabile discorso il grande Papa Paolo VI nel viaggio nelle Filippine: “…oh, se le nostre famiglie diventassero come la famiglia di Nazareth”.

Quali sono le sue caratteristiche? La prima, quella che ci hanno presentato le letture della liturgia di oggi, è la fede. Dio viene nella nostra famiglia se noi ci fidiamo di Lui: Abramo, il padre della fede - la seconda lettura agli Ebrei ce lo ha ricordato -, i vecchi Simeone e Anna che vedono nella fede in quel bambino la promessa di Dio che si è realizzata. Dio viene nella nostra casa se noi abbiamo fede, se ascoltiamo la sua parola, se non siamo così attaccati alle cose materiali, alla confusione del mondo, da essere incapaci di ascoltare la sua Parola. Dobbiamo essere sognatori, essere spirituali, essere contemplativi, perché nel sogno, nella contemplazione e nella spiritualità Dio ci parla e ci chiede la fede.

La seconda caratteristica poi indica un impegno bello per le nostre famiglie. Giuseppe e Maria portano Gesù al tempio, come era previsto nella religione del tempo. Nelle famiglie i nostri ragazzi sono formati alla vita. Nelle famiglie i nostri bambini respirano il profumo bello della fede, ma io direi anche il profumo dell’onestà, della solidarietà, della compassione, dell’accoglienza; il profumo bello di quella tenerezza che ci fa essere attenti agli altri, che combatte in noi il virus dell’egoismo, della cattiveria. La famiglia è il tempio nel quale i nostri bambini, i nostri ragazzi respirano questo profumo che non è solo ascoltare delle parole o imparare delle preghiere – bisogna imparare anche le preghiere -, ma soprattutto è questo spirito del cuore che non si trasmette con la bocca ma si trasmette con il nostro modo di essere.

La famiglia di Nazareth poi ci insegna anche a guardare a tante famiglie che soffrono la persecuzione. Poveri Giuseppe e Maria, non gli è bastato per far nascere il loro bambino doversi adattare – come tanti disgraziati fanno ancora oggi nel mondo, anche vicino a noi – per trovare un posto dove rifugiarsi, dove far nascere la loro creatura. Sono dovuti scappare, Erode li voleva ammazzare, il potere inutile di un re fantoccio voleva distruggere il loro bambino. Ne ha ammazzati tanti, sono scappati. Oggi sarebbero scappati su un barcone o attraverso il deserto del Sahara o attraverso le frontiere dell’Oriente dell’Europa; chissà come sarebbero scappati, forse nascosti in un Tir o, come ha fatto un ragazzino l’anno passato – morendoci, purtroppo – nelle ruote di un aereo. Sono dovuti scappare. Come possiamo vivere la dolcezza del Natale nelle nostre famiglie se il nostro cuore, almeno il nostro cuore, non raggiunge tante famiglie che vivono così la loro vita?

Ecco la Santa famiglia di Nazareth. Facciamo entrare Gesù nella nostra casa, ascoltiamo la sua Parola, apriamo il nostro cuore a quello che ci chiede. Anche noi poi come Simeone potremo cantare “…ora posso anche morire, Signore, perché ho visto la cosa più bella della mia vita”. Anche noi potremo dire come Sara e Abramo “… ci hai donato un figlio, non ce lo aspettavamo più, ci hai donato un figlio, per noi”. Anche noi potremo dire “… il Signore ha fatto grandi cose per noi”, come ha cantato Maria nel Magnificat.

Gesù viene davvero nella nostra vita, se la nostra vita è una risposta al suo amore ed è uno sguardo verso tutti gli uomini e le donne del nostro tempo. “Oh – come disse Paolo VI – potessero essere le nostre case come la casa di Nazareth”, il tempio nel quale Dio abita e accompagna tutta la nostra vita.